Nella mia ignoranza della cultura tedesca, non conoscevo questa autrice considerata un classico del Novecento tedesco. “Nozze ad Haiti” attraverso le avventurose vicende di Michel Nathan, orafo ebreo che arriva ad Haiti da Parigi, ripercorre con grande intensità di scrittura le vicende di Toussaint Louverture, l’uomo (nero, ex schiavo) che portò nell’isola l’uguaglianza di tutte le persone a prescindere dal colore della loro pelle, l’abolizione della schiavitù e l’indipendenza dell’isola.
Questo racconto lungo è particolarmente interessante per due motivi, da una parte le tematiche affrontate, dall’altra lo stile.
Ad Haiti si mescolano persone di varia origine: europei, creoli e neri, che versano in una condizione di schiavitù nelle piantagioni di zucchero. Proprio per questo gli europei di classe agiata o ricca, spesso proprietari proprio di quelle piantagioni, sono restii ad adottare i provvedimenti votati dalle assemblee parigine rivoluzionarie, contando sul fatto che la distanza impedirà al governo centrale di controllare la situazione delle colonie. Ma le informazioni viaggiano comunque e i neri si organizzano per rivendicare l’uguaglianza e far applicare la legge, se necessario anche attraverso la lotta armata e la violenza.
Oltre il mero dato storico, il libro è una profonda riflessione sull’intreccio fra razzismo e lotta di classe (basti pensare che i più acerrimi oppositori della libertà dei neri sono proprio i creoli, che hanno paura di perdere i propri privilegi) e su come la classe dominante tenti sempre di fomentare la guerra tra poveri per mantenere lo status quo.
Lo stile di Nozze ad Haiti è complesso e all’inizio occorre farci l’abitudine. La scrittura è precisa, sottile e capace di dipingere le ambientazioni e gli animi con vividezza. Il tema, il diritto di tutti all’uguaglianza e al rispetto, risuona potente in tutta l’opera.
Credo sia un libro importante e da leggere in questi tempi di razzismo imperante.